04 Lug Margherita Hack, un primo punto
Per provare a capire Margherita Hack mi sono fatto uno schemino di partenza – cercando di non costipare tutto in una visione ridotta o riduttiva -. Cosa per me era buono; cosa meno buono o non buono.
Cosa per me era buono?
La sua qualità di scienziata pura, nel senso originario del metodo sperimentale dall’età moderna in poi; la capacità di organizzazione delle strutture accademiche e formidabile capacità didattica, di formazione degli studenti, e le capacità di diffusione delle nozioni, delle scoperte, dei ragionamenti della fisica in un Paese digiuno di queste cose (beninteso, digiuno pure di filosofia, letteratura ecc., a dispetto di tanti proclami); la sua simpatia, naturalezza, autenticità, libertà, empatia, serietà, onestà e rigore nella condotta personale (anche coniugale), la sua coerenza, il suo vigore, il suo ottimismo, il suo coraggio (gli intellettuali italiani sono generalmente servili – o “servi”, per dirla con Montanelli – e voltagabbana. Lei no) la capacità di non darsi arie pur nella fierezza, la sua facoltà di affermarsi nel sistema accademico (non doveva essere affare da poco per una donna, anche nell’entusiasmo generale del dopoguerra), la sua giusta rivendicazione – fatta con argomenti seri, e non di solo proclama – sul sistema della ricerca.
Cosa per me era meno buono o non buono?
Credo, e lo dico senza pretesa, che le mancasse la dimensione filosofica che sta alla base e all’orizzonte della scienza sperimentale, cioè si muoveva interamente nell’ambito della “dimostrazione fattuale”. Per esempio, Segre o, per andare ai colossi, Newton, Galilei, Curie e Einstein avevano presente la dimensione filosofica. Poi, quando si muoveva nell’argomentazione politica, non era all’altezza della sua formidabile capacità che esprimeva nella scienza sperimentale: troppi schematismi, pregiudizi, populismi, moralismi e estremismi viscerali, anche se al fondo dava certo un impulso positivo di etica pubblica, senso civico, onestà e speranza, in particolare per i giovani ricercatori. Sulla religione, credo risentisse della mancanza della suddetta dimensione filosofica, nel senso che le sue affermazioni si muovevano già tutte al di qua di una filosofia, senza mai interrogare ciò che sta al di là (o, meglio, prima) di quella stessa filosofia. Questo mi ha sempre stupito: perché una persona di strepitosa intelligenza e cultura scientifica trascura questo fondamento? Ma, mettendo a confronto queste due linee chiuse nello schema, la “positiva” e la “negativa”, non si può che allargare infine lo sguardo a tutto il dibattito e desolante scenario pubblico italiano (e non solo italiano), e allora mi viene da dire solo questo: con la scomparsa di Margherita Hack, un’altra delle ormai pochissime eccellenze italiane se ne va.
di Vittorio V. Alberti