26 Mar Lumières, religions, raison commune
Si è tenuto nella capitale francese il primo forum del “Cortile dei Gentili”, l’iniziativa di dialogo tra credenti e non credenti voluta da Benedetto XVI e organizzata dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Un primo esperimento, ancora da mettere a punto forse. Ma la cui importanza è davvero indiscutibile.
«Ho indagato i contorni di un’isola e ciò che alla fine ho scoperto sono le frontiere dell’oceano». Il cardinale Gianfranco Ravasi cita Wittgenstein.
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Dalla tribuna dell’Unesco, sintetizza con le parole del filosofo austriaco il compito del primo “Cortile dei Gentili”: compito immenso e tuttavia indispensabile per una Chiesa che voglia abbattere il muro dell’indifferenza e dialogare con quelli che una volta si chiamavano i lontani, agnostici o atei, le masse anonime che a Parigi affollano altri cortili, in francese parvis, la spianata della Défense, il quartiere degli affari, le università e i laboratori di ricerca high-tech, un mondo che sembra poter fare a meno di Dio e che della fede cristiana sa ormai poco o nulla.
Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, Ravasi non propone scorciatoie, bensì un cammino irto di ostacoli, sui «sentieri di altura», dove le domande ultime sui dostoevskiani problemi maledetti – Dio, il bene, il male – affiorano in tutta la loro urgenza e la loro nudità, senza troppe cautele.
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Un cammino sotto la guida di tre stelle. La prima, secondo il cardinale, è quella del dialogo, in greco diálogos, un colloquio che suppone la presenza di almeno due interlocutori e di due «parole». La seconda stella è il mistero dell’esistenza, il Grande Enigma che riguarda tutti, credenti e non. La terza, infine, è quella dell’essere, in tutte le sue dimensioni, fisiche e spirituali: ciò che i credenti chiamano Dio e gli altri natura o ragione.
Il “Cortile dei Gentili”, voluto da Benedetto XVI, non ha altro scopo se non questo dialogo nella verità. «Una verità che secondo la saggezza orientale», ricorda Ravasi, «è come un diamante: una, ma dalle molte sfaccettature». A Gerusalemme, il “Cortile dei Gentili” designava lo spazio riservato, all’esterno del tempio, alle genti, ai goyim, un luogo di incontro e, nello stesso tempo, di separazione, tra sacro e profano, puro e impuro.
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«Quello spazio aperto permetteva a tutti coloro che non condividevano la fede di Israele di avvicinarsi al tempio e di interrogarsi sulla religione», ha spiegato Benedetto XVI. «In quel luogo, essi potevano incontrare degli scribi, parlare della fede e anche pregare il Dio ignoto.
Nelle intenzioni del Papa, il «Cortile» o l’«Atrio dei Gentili» dovrebbe essere il luogo del dialogo, un forum ideale e itinerante, in cui mettersi in ascolto di ciò che la modernità secolarizzata ha da dire alla Chiesa (e la Chiesa al mondo).
Parigi è la prima tappa. Seguiranno Stoccolma, Tirana, Praga, Chicago e il Québec. Perché ormai, come già notava Paolo nella lettera ai cristiani di Efeso (2, 16), il muro è caduto, ogni separazione è abolita e «le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo».
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A Parigi, dunque, dal 24 al 25 di marzo, l’esperimento ha avuto inizio, con due giorni di dialogo e di domande nei luoghi che simboleggiano l’universalismo della Ville Lumière: all’Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura; alla Sorbona, antica università cattolica, ora tempio laico del sapere; all’Institut de France, dove siedono i cosiddetti «immortali», accademici delle scienze, della letteratura, delle arti. Senza dimenticare il Collège des Bernardins – il centro culturale della diocesi che per tutto l’anno svolge il ruolo di “Cortile dei Gentili” – da cui il Papa ha rivolto nel suo ultimo viaggio in Francia un memorabile discorso agli intellettuali.