Le sfide del mondo nuovo, di Giuliano Amato

Vittorio Corona, “Corsa ad ostacoli” 1923

 

Ecco uno stralcio del saggio “Nulla sarà come prima” scritto da Giuliano Amato per i 150 anni di “Nuova Antologia” parla dei cambiamenti in atto nella società. Il ruolo chiave di Internet, la necessità di leader coraggiosi.

Non è una novità che il girar del secolo sia visto come un nuovo inizio. E non soltanto per il valore simbolico dell’evenienza (un valore simbolico moltiplicato, quando a girare è addirittura il millennio), ma perché possono coincidere con essa dei cambiamenti in itinere, che motivano concretamente l’aspettativa.

Così del resto fu nel passaggio dal XIX al XX secolo, un passaggio segnato da aspettative assolutamente positive, sulla base della fiducia allora dominante nella ragione e nel sapere come fonti di miglioramento della vita umana. C’erano i progressi della scienza, lo sviluppo dell’industria, i nuovi mezzi di trasporto (il treno, che – aveva detto Cavour – aboliva le distanze), il cinema; e il tutto portava in sé un movimento mai sperimentato prima (…) In realtà, il mutamento fu talmente profondo e sconvolgente da generare conflitti ai quali il mondo non era preparato. Il sommovimento che ne uscì fu tale da provocare lo scontro fra le faglie della storia e ne vennero – come ha scritto Claudio Magris – grovigli di emancipazione e regressione nei più diversi ambiti della nostra vita.

Di qui i progressi, ma anche le grandi contraddizioni del XX secolo, che ha allargato la democrazia ai milioni che ne erano esclusi, ma ha inventato i totalitarismi più parossistici, che ha fatto dell’autodeterminazione la premessa di diritti negati, ma anche di feroci conflitti etnici, che ha celebrato la pace, ma ha praticato la guerra come sterminio degli stessi civili, che ha avuto dalla scienza cure della salute prima impensabili, ma anche l’ordigno atomico, che ha immerso l’umanità nell’incubo dell’autodistruzione.

È una lezione che dobbiamo tener presente al girare del nuovo secolo, in modo da leggere i cambiamenti che abbiamo davanti con la consapevolezza che, quanto più essi sono intensi, tanto più smuovono faglie e fanno emergere grovigli come quelli segnalati da Magris. Il problema, allora, non è farsi inebriare dal nuovo, ma prepararsi a gestire i grovigli (…)

Né la rivoluzione tecnologica può salvarci da sola dai conflitti che hanno preso a svilupparsi proprio dopo il girar del secolo: i conflitti interni alle nostre società, alle prese con un nuovo problema di integrazione, che non è più (soltanto) quello delle società pluriclasse del Novecento, ma è anche in primo luogo quello delle compresenze multietniche nelle medesime comunità; ed i conflitti esterni, con il riemergere di ideologie intolleranti che, oggi soprattutto in campo islamico e con gravi distorsioni dei dettami religiosi, predicano e praticano la distruzione del nemico.

Sono conflitti che scavano nel profondo e fanno affiorare l’intolleranza anche là dove sembrava sepolta, e cioè nelle nostre democrazie (…) ma che cosa sta portando effettivamente la Rete, su quali contenuti sviluppa partecipazione, quale dibattito e con quale tasso di democrazia riesce a generare? Di sicuro c’è di tutto, ma non meno sicuro – ce lo dicono tante ricerche – è che prevale la polarizzazione di enclaves omogenee, ciascuna delle quali si contrappone alle altre, non dialoga con loro e tanto meno si apre all’integrazione. E se qualcosa unisce, è un forte e comune sentimento di opposizione della gente comune nei confronti delle élite (…) Molto ha contribuito, in anni recenti, la crisi economica globale che in diversi Paesi ha fermato la scala sociale, ha bloccato buona parte dei giovani all’ultimo gradino e ha creato così un naturale antagonismo fra loro e quelli che erano saliti ai gradii superiori (…)

Che cosa ci serve, allora? In primo luogo la paziente opera culturale che minoranze illuminate non hanno mai cessato di svolgere e che offre gli ingredienti più essenziali alla costruzione di una narrativa diversa, più informata, più consapevole, più razionale. È un’opera da sostenere con discrezione nei Paesi in cui chi la svolge corre dei rischi, da promuovere e diffondere con determinazione nei Paesi come il nostro, dove l’unico rischio che si corre è di destare l’anatema di chi costruisce oggi la sua fortuna sull’ignoranza. A questo fine servono anche leader coraggiosi, che non solo cavalchino l’onda, ma la contrastino, sia recuperando le ragioni della ragione, sia dimostrandosi impietosi con ciò che ha legittimato ostilità e risentimenti (…)