La ‘Sophia’ di Agostino…

Soren Kierkegaard era convinto che nel campo dello spirito fosse decisivo il ‘come’ piuttosto che il ‘cosa’. E sulla differenza del ‘come’ ha scommesso fin dalla nascita l’Istituto universitario ‘Sophia’: formazione integrale della persona, attraverso una metodologia capace di unire studio e vita, all’interno di una comunità accademica caratterizzata da relazioni di qualità poste al servizio della ‘transdisciplinarietà’ dei saperi. Qui, nella splendida cornice del Valdarno, presso la cittadella di Loppiano, si è tenuto una sorta di piccolo ‘Cortile dei Gentili’, dedicato all’inquieto Agostino, che ha visto come protagonisti, insieme al filosofo Umberto Galimberti e al teologo Piero Coda, i giovani studenti universitari di ‘Sophia’. Pane per i nostri denti, dunque. Moderatore della serata il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, il quale, dopo aver lodato ‘Sophia’ come uno dei luoghi in cui si costruisce il futuro – quella parte di “bella Italia” e di “realtà buona” che spesso trova poca cittadinanza mediatica -, ha accordato la serata su una nota estroversa – paradossale – di Joseph Ratzinger contenuta nel libro-intervista di Peter Seewald: “dobbiamo stare ben attenti a sentirci troppo dentro qualcosa poiché magari ne siamo fuori, mentre ci sono persone fuori che invece sono più dentro di noi”.

L’incipit del filosofo si è rivelato subito consonante: “Siamo tutti cristiani, anche gli atei, anche gli agnostici, poiché il cristianesimo è anche una cultura, una psicologia collettiva, un modo di essere occidentale, la nostra forma mentis”. Per questo siamo debitori, nel bene e nel male, verso il pensiero di Agostino. Quest’ultimo, secondo Galimberti, avrebbe introdotto definitivamente nel cristianesimo occidentale la categoria di anima, riprendendola però da Platone – quando invece Omero parlava, quasi husserlianamente, di ‘corpo in azione’. Il filosofo greco, infatti, voleva raggiungere, dal punto di vista gnoseologico, un tipo di conoscenza oggettiva ed universale, quindi non edificabile sulle (inaffidabili) informazioni sensibili-corporee, ma su una forma di pensiero per numeri ed idee, e sul relativo organo di produzione di questi ultimi: l’anima, la psiche – intesa come divisa radicalmente dal corpo, e tanto più vicina alla verità quanto più lontana da esso, quanto più capace di ‘mortificarlo’. In realtà, precisa Galimberti, furono già i LXX a tradurre la parola ‘nefesh’ con il termine ‘psiche’, trascinandosi dietro questo dualismo greco tra anima e corpo, quando invece la tradizione ebraica ricollegava il ‘nefesh’ al corpo, alla vita! Il grave inconveniente causato da Agostino, con l’introduzione del concetto di anima in un contesto soteriologico, consisterebbe quindi nel far risiedere nell’interiorità dell’uomo la verità, Cristo, Dio, e, soprattutto, il principio dell’individualità. Nascerebbe così la nozione di individuo – assente nella cultura greca (dove l’uomo non può vivere se non nella città, dove è la struttura comunitaria che legittima l’individuo, è il due – per dirla con Jung – che genera l’uno, è la relazione che costituisce l’identità), e verrebbe aperta la strada all’affermazione nell’Occidente dell’individualismo. Sì, secondo Galimberti, l’individualismo esasperato dei nostri giorni sarebbe un derivato del primato dato da Agostino prima e dall’Occidente cristiano poi all’anima rispetto alla struttura relazionale, fino alla radicalizzazione inaugurata da Cartesio, con il quale il corpo viene pensato come una sommatoria di organi – concetto fatto proprio dalla scienza e dalla medicina odierna… Ha ragione, allora, Enzo Bianchi a sostenere che la parola ‘anima’ non dovrebbe essere più usata e venire sostituita con quella di ‘interiorità’. E’ necessario – ha concluso Galimberti – riconfigurare il nostro rapporto con il corpo. Se così non facessimo, rischieremmo di smentire tutta l’operazione teologica ‘incarnatoria’ propria del cristianesimo quale religione del corpo per eccellenza: Gesù è l’incarnazione di Dio e risorge come corpo, l’iconografia è un tripudio di corpi, lo stesso Paolo parla di assunzione in cielo, o meglio di resurrezione, utilizzando la parola ‘soma pneumatikos’ (corpo d’aria) e giammai ‘pische’ [10.30-22.30].

La risposta del teologo non si è fatta attendere, insinuandosi tra le pieghe del ragionamento di Galimberti, riconoscendo in Agostino alcuni riduzionismi da depurare perché deturpanti l’originalità cristiana, rivendicando la necessità di farne evolvere altri elementi riferendosi più profondamente a tale originalità. In realtà, secondo Coda, Agostino non è stato principalmente il teorizzatore dell’anima, ma soprattutto lo scopritore e l’esploratore dell’interiorità: ‘in interiore homine [e non ‘anima’!] habitat deo’ – dice Agostino. Certo, egli è stato un uomo imbevuto di cultura classica, formato sui testi dei neoplatonici, ma il neoplatonismo stesso gli ha aperto un’esperienza – e non una teoria! – di ciò che è oltre ed altro, e che viene appunto attinto nell’interiorità. Nelle ‘Confessioni’ non a caso Agostino afferma: “ritorna in te stesso” e “supera, trasgredisci te stesso”. L’interpretazione individualistica data a tali espressioni (che può avere certamente alcuni appigli nello stesso Agostino), non fotografa l’intenzionalità profonda del teologo, il quale intenda dire: “ritorna dentro te stesso, nell’integralità della tua esperienza, per cogliere il senso di quello che è fuori di te – l’esteriorità, il mondo – ’. Un entrare in se stesso non per abitare presso di sé, ma per trasgredire la propria interiorità verso un orizzonte che con le nostre capacità e forze non riusciremmo ad attingere. Quindi, se è vero che l’Agostino neoplatonico usa la parola ‘anima’, essa è da intendersi nel senso di ‘uomo interiore’ che ritrova se stesso fuori di sé, in una alterità che è sempre ulteriorità. Nel libro VII delle ‘Confessioni’ Agostino, per fotografare l’esperienza della conoscenza di Dio, si riferisce infatti a quella voce esteriore di Esodo 3,14 che irrompe nella sua interiorità – abitata da un altro, da un rapporto, da una relazione. E questa alterità è talmente forte che Agostino, quando incontra la presenza di Cristo, riconoscerà nel cristianesimo la via dell’umiltà, ossia il fatto che Dio per venirci incontro ha assunto la carne e che allora lo si può incontrare solo nell’umiltà di quella carne che Lui stesso ha assunto per incontrarci. C’è quindi in Agostino una dialettica, una tensione irrisolta, tant’è che nel ‘De trinitate’ (libro VIII) egli afferma che per entrare in Dio è necessario “calcata carne, ascendamus ad animam”, perdendo qui ciò che aveva guadagnato là: la stessa carne – la sarx -, pur vista come molto buona, può diventare, se non gestita bene, il luogo della concupiscenza. Sarà poi la tradizione successiva a far prevalere questa linea neoplatonica. Bisognerà arrivare all’aristotelico Tommaso per sentire quella che all’epoca costituì quasi un’eresia: “l’anima è la forma del corpo”. Resta che Agostino va oggi riletto tenendo conto dell’intuizione, o meglio della scoperta di un’interiorità non vuota o buia, ma abitata dal rapporto con l’altro. E la categoria di relazione è tanto importante per il genio speculativo agostiniano che nel ‘De Trinitate’ (libro V) possiamo leggere come la possibilità di pensare il Dio di Gesù Cristo necessiti non solo dell’essere in sé stesso – l’ousia, la sostanza – come principio della realtà,  ma anche della relazione. Poi, certo, Agostino non mostra lo stesso coraggio speculativo quando deve declinare questo nuovo paradigma nella sfera dell’umano, ma ciò non vuol dire che sia stato addirittura il fondatore dell’individualismo occidentale. Egli non è un teocratico, né un ‘greco’, ma piuttosto un ‘romano’. Nel ‘De civitate’, infatti, descrive una città non localizzata in un gruppo determinato, ma universale, capace di abbracciare le persone di tutte le etnie, e sinceramente aperta alla ricerca di quel bene comune che al suo sommo è Dio [22.55-37.15].

Il direttore Tarquinio ha quindi chiuso il primo ‘round’ del confronto tra Galimberti e Coda evidenziando il convergere di due approcci diversi verso un grande valore, quella della relazione – oggi sotto attacco poiché è preferibile trovarsi di fronte uomini soli e più facilmente manipolabili, governabili, usabili. Il secondo ‘round’ si è aperto alle e con le domande degli studenti rivolte ai due pensatori, i quali, in modo combattivo ma amabile, hanno risposto portando la discussione – di cui potrete leggere nei commenti – per territori imprevisti. D’altronde, come ci ha detto Francesco, è nella relazione (relazionale e non relativistica) che troviamo la verità. La verità è un cammino, la verità è in cammino…

 

 

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