La Bellezza della Giustizia I. L’uomo giusto

Sono freschi di stampa due testi che legano il Cortile dei Gentili – e i suoi eventi – al tema della Bellezza (Firenze, Barcellona) e a quello della Giustizia [http://www.ilpozzodigiacobbe.it/it/products/extra/cultura-della-legalita-e-societa-multireligiosa/ ](Palermo). E di recente lo stesso vescovo Bregantini, a capo della diocesi di Locri-Gerace dal 1994 al 2007, ha proposto la bellezza come espediente per intaccare le radici della mafia, come momento davidico in grado di rivelare i piedi d’argilla del gigante Golia:

“Dobbiamo credere che se il bene avanza la mafia arretra, dobbiamo vivere i valori del bello, dobbiamo seminare parole capaci di estirpare l’omertà, la menzogna e la paura, per far attecchire un modo diverso di guardare le cose, anche per chi in quella cultura è cresciuto senza conoscerne un’altra. Non possiamo sapere quando questa cultura del bello e del bene incrocerà la vita di un mafioso e che cosa susciterà in lui: forse farà sorgere una domanda. E non è detto che questa domanda debba essere sollecitata per forza dalla Chiesa, dallo Stato o da un’agenzia educativa. Può bastare una ragazza che dice un ‘no’.” (Bregantini, 2011)

Ma il parallelo tra ricerca della giustizia e bellezza affonda le sue radici già nella Bibbia ed in particolare nel brano di Isaia 58,1-12 http://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Isaia+58,1-12&versioni%5B%5D=C.E.I.. Testo fondamentale nella riflessione profetica sul rapporto indissolubile tra pratica religiosa ed esercizio della giustizia (zedaqah), come “è sottolineato dal suo posto centrale nella liturgia del giorno del Kippur” (Levinas, 1986). Testo perciò capace di riaprire all’“accoglienza dei pagani […] la comunità dell’Alleanza (qehal JHWH)”, ricordandole l’“universalismo” del proprio messaggio (Mello, 1986).

Al ritorno dall’esilio babilonese, infatti, nell’ebraismo si discuteva sull’opportunità di continuare a digiunare (Zc 7,1-7) e sul rapporto tra il digiuno e la giustizia misericordiosa verso i bisognosi (Zc 7,8-10; 8,18-19). In Isaia 58, tramite l’alta e gridata voce del profeta, Dio chiarisce al Suo popolo – che Lo ricerca e Lo vuole vicino per conoscerne le vie – il vero significato del digiuno. Non solo azioni rituali subito contraddette dal perseguire i propri iniqui, litigiosi e chiassosi affari, bensì azioni di giustizia dirompente:

[6] Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? [7] Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, i senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne?

Siamo di fronte all’uscita dai propri desideri per entrare nei desideri dell’a/Altro. Ecco perché l’oracolo di Isaia viene considerato come un “esodo sul posto”. Esso richiede una giustizia praticata dall’uomo per e nell’ approssimarsi di quella salvifica (jeshu’ah) proveniente dal Dio che raduna per la pace i vicini e i lontani. “Esigente giudaismo” – sottolineava Levinas – “esigenza, irriducibile e urgente, della giustizia” come “equivalente […] della prossimità di Dio” (Levinas, 1986):

[9a] Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto e egli dirà: “Eccomi!”

In un climax che va dal dono delle proprietà al dono di sé, la realizzazione della giustizia (di Dio) ha come conseguenza per l’uomo, non solo la possibilità di nominarLo fedelmente, ma anche “un mutamento di piano nell’essere” (Levinas, 1986), l’apparire della gloria (di Dio) nell’uomo trasfigurato, irradiante e splendente come la luce prima aurorale e poi del meriggio:

[8] Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. [9b] Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, [10] se offrirai il pane all’affamato, se sazierai chi è digiuno [alla lettera “se tu dai all’affamato la tua anima, se tu sazi l’anima dell’oppresso”], allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio.

Questo uomo, rafforzato dalla giustizia praticata, sarà dunque fresco e piacevole come solo possono esserlo, nel deserto dell’esodo, un giardino irrigato ed una sorgente zampillante:

[11] Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono.

sergio.ventura@cortiledeigentili.com, Maria Grazia Giordano

Bibliografia:

Bregantini Giancarlo, Non possiamo tacere. Le parole e la bellezza per vincere la mafia, Piemme, 2011.

Lévinas Emmanuel, L’aldilà del versetto. Letture e discorsi talmudici, Guida, 1986.

Mello Alberto, Isaia. Commento esegetico-spirituale, Qiqajon, 1986.