Interviste sul tema: Prospettive sull’Università. Tra passato, presente e futuro (5)

Intervista a Lothar Vogel L’università in prospettiva protestante

 

Lothar Vogel, nato nel 1966 in Germania, è uno storico del Cristianesimo. Ha studiato teologia protestante nelle Università di Marburgo e di Tubinga. Dopo essere diventato vicario e pastore nella Chiesa luterana di Württemberg, ha ottenuto un dottorato in teologia. Ha insegnato storia della Chiesa e storia del Cristianesimo alla Kirchliche Hochschule Neuendettelsau e, dal 2006, insegna alla Facoltà Valdese di Teologia di Roma. I suoi ambiti di ricerca vanno dalla storia del Cristianesimo in epoca medioevale a quella del periodo della Riforma, soffermandosi sulle dinamiche di formazione delle immaginazioni relative al passato e alla loro funzione. È autore di diversi articoli e libri dedicati ai suoi campi di ricerca.

Professore, la confessione protestante vanta una lunga ed affermata tradizione nel campo dell’educazione. Collegi, scuole ed accademie-università vennero fondate da Martin Lutero, Giovanni Calvino, Ulrico Zwingli e da coloro che si ispirarono ai loro principi. Penso anche a movimenti come il Pietismo, oppure a personalità del calibro di John Harvard (XVII sec.), August Hermann Francke, Johannan Bernard Basedow (XVIII sec.), Friedrich Fröbel e Johann Heinrich Pestalozzi (XIX sec.). Dunque, tra il protestantesimo e la missione educativa esiste un legame molto interessante. In qualità di teologo protestante, cosa ne pensa?

Infatti, l’elenco di nomi che Lei dà è lo specchio dell’importanza attribuita alla dimensione formativa nel protestantesimo. Vorrei soltanto ricordare che dal punto di vista teologico la Riforma prese le mosse da una facoltà di teologia, quella di Wittenberg. Quella cognizione che Martin Lutero considerava basilare per il suo operato è stata di carattere prettamente accademico. La revisione del concetto di giustizia di Dio e della giustificazione è stata il risultato di un’operazione esegetica sul testo biblico, condotta con tutti gli strumenti filologico-umanistici del tempo, con il risultato che nelle lettere dell’apostolo Paolo “giustizia” e “giustificazione” hanno un senso diverso da quello aristotelico che anche noi oggi gli assegniamo spontaneamente. È vero che Lutero descrive la sua scoperta anche nel senso di una liberazione esistenziale, ma non bisogna dimenticare la dimensione “tecnica” e razionale di questa operazione. Ed è in questo senso che la ragione diventa il criterio teologico assieme alla Sacra Scrittura, paradigmaticamente nella sua dichiarazione davanti alla dieta di Worms nel 1521. Ciò non vuol dire che la ragione possa essere superiore alla fede, ma che un’interpretazione della Sacra Scrittura deve essere razionalmente difendibile e comunicabile davanti all’assemblea dei credenti. In tal modo, questa si assume la responsabilità del giudizio sull’insegna­mento proferito, e cioè l’episkopé, la sorveglianza, che è un’espressione importante del sacerdozio universale. In sintesi, l’impulso innescato da Lutero e portato avanti con dispute accademiche e con dibattiti pubblici – ad esempio a Zurigo –, portò a una teologia svolta pubblicamente, il che richiedeva un determinato livello formativo sia per i predicatori che per i membri delle comunità.

A partire dalla data simbolica del 1517, alcune università cominciano – mi perdoni l’uso improprio e inesatto dell’espressione – a “protestantizzarsi” (è il caso, ad esempio, di Wittenberg), mentre altre vengono create ex-novo (come quella di Marburgo, fondata nel 1527). Da qui deriva un inarrestabile processo di fondazione di accademie e di università… Quali sono gli esempi che ritiene storicamente più significativi e interessanti?

Nell’ambito della Riforma, il paesaggio accademico si è rapidamente fatto pluriforme. Accanto alla facoltà di Wittenberg, che in qualche modo simboleggia le radici che la teologia protestante affonda nella riflessione teologica occidentale pregressa, si svilupparono delle scuole teologiche pubbliche nelle città, anzitutto a Zurigo, dove la Prophezei fu al tempo stesso una sorta di seminario pubblico di esegesi biblica e un luogo di formazione pastorale. Da essa derivarono i progetti di fondazione di un’accademia, quasi universitaria ma senza i relativi privilegi, attuati in particolare a Strasburgo e poi a Ginevra. In Assia, invece, il langravio Filippo fondò la prima università protestante, con tanto di privilegio imperiale, a Marburgo, utilizzando i fondi incassati mediante l’abolizione dei monasteri. Dal suo punto di vista, un tale riutilizzo dei fondi portò al ripristino della finalità che originariamente questi avevano avuto.

Se dovesse ricondurre al nucleo essenziale l’insieme delle riflessioni possibili, come caratterizzerebbe l’identità di un’università di fondazione e di orientamento protestante?

Secondo me, il nucleo di questa esperienza accademica iniziale può essere ricercato nella cognizione che l’incontro serio con la Sacra Scrittura permette, a chi la legge, di vivere un’esperienza di alterità. Resta vero il fatto che la fede è un dono profondamente personale e intimo. Al tempo stesso, però, la fede è sempre comunicativa, è risposta a un messaggio e poi testimonianza. Perciò questa comunicazione non può limitarsi ad essere l’espressione del proprio stato d’animo ma, contrariamente a ciò, esige un confronto con quella dimensione a me estranea che mi interpella. Di conseguenza, una vita accademica che si ispira a questa esperienza di base dovrebbe essere caratterizzata dal coraggio di farsi interpellare e alienare da quello che si crede di sapere, sempre per continuare il viaggio di una crescita cognitiva comunque disciplinata dalla ragione. La sola alternativa sarebbe respingere la ragione, e cioè farsi dominare dalla paura e dalla rimozione, poiché alla fine gli argomenti ragionevoli lasciano tracce in tutti.

Come crede si sia trasformata questa stessa identità nel corso dei secoli?

Forse, ci sono stati due passaggi principali. Il primo è stato la trasformazione della teologia accademica un una “scienza pratica”, finalizzata alla formazione ministeriale. Vorrei soltanto menzionare che questo sviluppo si è verificato in tutte le confessioni occidentali, cattolicesimo compreso. Il secondo è stato il confronto con una filosofia sempre più autonoma, sempre più affermativa nel rivendicare una sua priorità in quanto disciplina capace di basarsi completamente su principi a essa inerenti, mentre la teologia evidentemente si riferisce a un principio ad essa esterno, la Sacra Scrittura – oppure , in ambito cattolico post-tridentino, la Sacra Scrittura ed il Magistero. Tutto questo culminò nell’Illuminismo, che inizialmente aveva i suoi rappresentanti di punta fuori dalle università, ancora dominate dalla teologia, ma poi s’impose con la forza della sua razionalità. La soluzione trovata per la teologia universitaria protestante è quella ideata da Friedrich Schleiermacher all’inizio dell’Ottocento per l’università “humboldtiana” di Berlino, in quel tempo di recente fondazione: una teologia considerata come una scienza professionalmente abilitante. Ovvero, la teologia era collocata sullo stesso livello della giurisprudenza o della medicina. Queste discipline, tutte insieme, si organizzavano attorno alla scienza-base della filosofia. In tal modo, pur perdendo la sua posizione centrale e in cima alla gerarchia dell’insieme delle discipline accademiche, la teologia ha conservato la sua collocazione universitaria e la sua integrazione nell’ambito delle scienze svolte in sede pubblica. Evidentemente, scelte del genere erano impossibili laddove si sarebbe imposta un’idea di laicità della formazione accademica che escludeva la permanenza della teologia all’università. Ma ciò non toglie l’esigenza di una teologia da svolgere pubblicamente.

Professore, anche la Chiesa anglicana ha profuso un notevole impegno nel campo educativo. Ancor oggi, diverse sue istituzioni educative e università godono di grande stima. I principi teologici e la visione del mondo che spingono questa Chiesa ad impegnarsi nel campo dell’educazione hanno un elemento specifico?

Storicamente bisogna distinguere fra le università britanniche e quelle nordamericane. Nella seconda metà del XVI secolo, la teologia anglicana si sviluppò, con alcune caratteristiche, sulla scia dei modelli continentali. Possiamo menzionare personaggi come Martin Bucero e Pietro Martire Vermigli che furono chiamati a Oxford come professori. Buona parte delle università nordamericane più prestigiose, invece, sono state fondate dalle diverse denominazioni cristiane (cattolicesimo compreso). Tutto questo ci ricorda che ci sono anche delle alternative efficaci all’organizzazione statale del mondo accademico. Gli approcci teologici applicati oggi nell’ambito britannico e nordamericano sono di impressionante ricchezza e pluralità, passando da tipologie “evangelical” fino alla focalizzazione di questioni interculturali etc.

L’ultima domanda riguarda il futuro… Come vede il futuro dell’impegno educativo, soprattutto in ambito universitario, da parte delle Chiese della Riforma?

Per quanto riguarda il futuro, penso che la prima esigenza delle Chiese evangeliche, in Italia e non solo, sia la formazione dei suoi membri, in modo tale che il bel principio del sacerdozio universale si possa tradurre in maturità e responsabilità teologica. Questa formazione comunitaria può riuscire soltanto se si svolge nel pieno rispetto della libertà di coscienza, dando testimonianza della fede nella consapevolezza che essa non è prodotto di attività umane ma risposta a un messaggio che viene da “altrove”, pur giungendoci in vasi terrei. Per quanto riguarda la teologia accademica, credo che nello spazio nordatlantico (“occidentale”) si sia formato, nel corso dei secoli, un patrimonio culturale importante, che ha sempre nuovamente cercato di rielaborare con coraggio e ragionevolezza quella tensione che c’è fra l’immediatezza dell’esperienza della fede e l’alterità proveniente dalla Sacra Scrittura, ma anche da esperienze e cognizioni atte ad alienare da quello che si riteneva consolidato, anche da elementi culturali prettamente biblici. Sono convinto che questa disponibilità a farci “alienare” dalle proprie convinzioni e dai propri preconcetti da riletture sia della Sacra Scrittura che della realtà in cui viviamo ci fa maturare nella fede e costituisce un rimedio efficace al fondamentalismo.

di Gabriele Palasciano

Per approfondire:

Martin Krarup, Ordination in Wittenberg. Die Einsetzung in das kirchliche Amt in Kursachsen zur Zeit der Reformation (“Beiträge zur historischen Theologie”, 141), Mohr Siebeck, Tubinga, 2007.

Marcel Nieden, Die Erfindung des Theologen (“Spätmittelalter und Reformation. Neue Reihe”, 28), Mohr Siebeck, Tubinga, 2006.

Andreas Stegmann, “»evangelium pure docetur«. Beobachtungen zum Verhältnis von Lehre und Predigt bei Luther und Melanchthon sowie im Luthertum des 16. und 17. Jahrhunderts”, in Lutherjahrbuch 81, 2014, pp. 249-302.

Lothar Vogel, “Il pastorato evangelico fra vocazione e scienza – considerazioni a partire da Martin Lutero e Giovanni Calvino”, in Protestantesimo 67, 2012, pp. 289-316.

Id., “«Par amour et zèle pour la vérité»: la dimension académique de la Réforme protestante”, in Positions luthériennes 61, 2013, pp. 213.