04 Mag Il “viaggio” attraverso la poesia e il pensiero
Festival Biblico – Diocesi di Verona – 4 maggio 2017
Bibbia, letteratura e filosofia: tre discipline in dialogo sul tema del viaggio nell’esperienza della cultura occidentale
INTERVENTO DI PADRE LAURENT MAZAS
“Vorrei iniziare questo mio intervento con una domanda: “Dove comincia il viaggio?”.
Se riflettiamo, un viaggio comincia in una biblioteca, in una libreria, e oggi, trovandoci in una realtà 2.0, anche sulla rete.
Al principio del nomadismo, dunque, incontriamo la sedentarietà delle scaffalature, delle sale di lettura, di un computer. È proprio sulla carta che si realizza il primo viaggio, indubbiamente, il più magico e il più misterioso. Il viaggiatore, attraverso le sue fantasie, si muove in un mondo fatto di tracce, di linee, di cifre e numeri… viaggia con la mente. In una maniera tutto sommato platonica, sollecitiamo l’idea di un luogo, il pensiero di un viaggio, per poi – secondo il movimento che il filosofo greco Plotino chiama la dialettica discendente – partire e verificarne l’esistenza, reale e fattuale, la trasformazione in figure sensibili e concrete che, come osserva il filosofo francese Michel Onfray, danzano sotto gli occhi del viaggiatore.
Ho voluto, però, non solo soffermarmi sull’aspetto mentale del viaggio, ma anche su quello materiale, dell’atto stesso del camminare, della marcia.
La nostra vita è il cammino di un viandante in marcia. Il marciatore, uomo o donna che sia, è colui che si sente vivo con passione e mai dimentica che la condizione umana è, in primo luogo, una condizione corporale, e che il godimento del mondo è quello della σάρξ (sarx), della carne. La marcia permette di capire il corpo in relazione con il mondo, consente di muoversi, di uscire dalla propria routine.
Il cammino della vita, la vita come una marcia, costituiscono una metafora, spirituale e filosofica, che chiede di porsi domande rispetto alla nostra stessa storia di vita. Il significato e il valore che viene attribuito alla marcia sono molto cambiati da circa una trentina di anni. Oppressi da una cultura della velocità, dell’abbagliante, dell’efficienza, del rendimento, dell’utilitarismo, tanti riscoprono oggi la marcia, l’andare a piedi sui sentieri per confrontarsi con il proprio corpo e la propria volontà, per ritrovare se stessi, cosa alquanto paradossale nella realtà contemporanea.
Infatti, l’organizzazione della società di oggi gira attorno all’organizzazione scientifica del lavoro teorizzata dal filosofo statunitense Frederick Taylor nella sua monografia del 1911. Si tratta di massimizzare la best practice degli operai, ottenendo così il massimo rendimento produttivo, con lo slogan «Dobbiamo dichiarare la guerra al gingillarsi». Ognuno ricorda la straordinaria denuncia fatta da Charlie Chaplin nel famoso film “Tempi moderni”. Un management che intende razionalizzare la
pianificazione del lavoro, finalizzata esclusivamente al produrre, produrre e produrre, fa perdere il gusto della vita e, nel lavoro, la soddisfazione e motivazione personale. È dunque salutare uscire da questi cerchi infernali, allontanarsi dalla frenesia, dalla fretta continua, dalla velocità, e camminare per ritrovare se stessi. Oggi, passiamo il tempo a camminare più velocemente della nostra ombra, durante il cammino andiamo invece allo stesso passo della nostra ombra. La marcia è dunque una forma di resistenza, di riflessione!
Camminare vuol dire “prendere tempo per se stessi”. Jean-Jacques Rousseau rivela nel suo Ritratto la sua passione per la marcia come anche nel libro IV de Le Confessioni, quando afferma: «Mi piace camminare a mio agio e fermarmi quando mi aggrada. La vita ambulante è quella che fa per me. Camminare a piedi col bel tempo, in un bel paese, senza fretta, e avere per meta un oggetto piacevole:
ecco fra i modi di vivere il più caro ai miei gusti […]. Mai paese di pianura, per bello che fosse, parve
tale ai miei occhi. Mi ci vogliono torrenti, rupi, abeti, fondi boschi, montagne, scoscesi sentieri da salire o discendere, precipizi ai miei fianchi da farmi paura.» […]”