Caro amico ti ho scritto: reazioni…

Pensare (sul)la soglia, come atteggiamento di frontiera, può certo risultare quantomeno disturbante per il credente e l’ateo impegnati nel loro wrestling. Questi ultimi, infatti, confondono ‘relazionale’ con relativismo, per cui vedono l’epi-gnostico e l’a-gnostico come ‘tra-denti’ traditori, come coloro che mentre gettano ponti lavorano per il presunto avversario. Bastino a tal proposito i non tanto velati sospetti sull’operato del Cortile dei Gentili sollevati lo scorso anno di questi tempi da Sandro Magister http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350375, non a caso subito condivisi dal pur opposto sito dello UAAR. Ma riguardo questo doppio, emergente da una visione parziale e riduttiva della complessità relazionale esistente tra credenti e non credenti (B.Ippolito), si può sempre ruminare l’evangelico: “in quel giorno Erode e Pilato, tra cui prima v’era inimicizia, divennero amici…” (Lc 23,12).

Eppure anche un Marcello Veneziani (Il Giornale, 26.9.11) ha colto quest’insolita alleanza – tra “devoti ingenui” e “non credenti” – nell’incapacità d’intendere messaggi spiazzanti come, ad esempio, quello di Benedetto XVI secondo cui “sono più vicini a Dio i non credenti inquieti che i cristiani di routine e d’apparato”. Dal canto suo, poi, il giornalista comprende che “l’intenzione del Papa è (di) avvicinare i non credenti”, osservando che “da tempo Ratzinger si tormenta sulla soglia, (…) ca¬pisce che non è più tempo di arroc¬carsi a difendere la fede residua (e) che deve affacciarsi sull’abis¬so, scrutare nel nulla”, ma conclude in modo ambiguo: “nel mio piccolo la pen¬so come lui, ma lui forse non dovreb¬be pensarla così”. Il prosieguo infatti è argutamente provocatorio: “questa è una rivoluzio¬ne anticlericale, compiuta da un cu¬stode e alfiere della Tradizione. Prefe¬rire le menti libere e tormentate ai de¬voti passivi e succubi dell’istituzione significa sconfessare millenni di cattolicesimo e mettere in dubbio il ruo¬lo della Chiesa (…) Le sue parole signifi¬cano che predilige le intelligenze af¬flitte dai dubbi al popolo dei semplici devoti, per fede ereditata (…) Tra la Verità e la Chiesa, Rat¬zinger sceglie la verità: il filosofo pre¬vale sul Papa”. Ma veramente “Papa Ratzinger si è spinto laddove nessun altro Papa ave¬va mai osato”? Beh, se pensiamo all’undici febbraio di quest’anno potremmo rispondere di sì…

In realtà, una fede pensata e pensosa non corre di per sé il rischio di ‘perdersi’ – se la fede è in effetti un rischio – ? Per Roberto Timossi, “questa profonda convinzione nella ragionevolezza della fede (…) che anima il cattolicesimo e che ne fa uno dei suoi caratteri distintivi, sottopone il credente al ricorrente ‘rischio del dubbio’ che deriva dall’uso critico della ragione e gli impone l’obbligo morale di confrontarsi con le ‘ragioni’ altrui, con gli argomenti dei non credenti e degli atei” (Avvenire, 23.2.11). Ma allora, non bisognerebbe pensare meglio, di più, altrimenti la relazione tra il proteggere una fede semplice (seppur a volte in realtà semplicistica) e l’incoraggiare una fede matura (seppur a volte un po’ troppo adulta)? Ed un ateismo altrettanto pensato e ‘pensoso’ non corre ugualmente il rischio di ‘convertirsi’ (come nel caso del compianto Pietro Barcellona)? Non bisognerebbe anche qui pensare meglio, di più, altrimenti l’eventuale (in)disponibilità (di uno Scalfari) a tale possibilità?

Recita Achille Campanile: “Il credente – io sono un credente, signore, afflitto dal dubbio che Dio non esista -. L’ateo – Io, peggio, sono un ateo, signore, afflitto dal dubbio che Dio, invece, esista realmente. E’ terribile -.

sergio.ventura@cortiledeigentili.com